31 Agosto 2025/ Anno C

Sir 3, 17-20.28-29; Sal 67; Eb 12, 18-19. 22-24; Lc 14,1.7-14
Luca è l’unico tra gli evangelisti a narrare che Gesù ha accettato degli inviti alla tavola dei farisei: questo dato – che appare con ogni probabilità storicamente fondato – spinge a “relativizzare” la conflittualità che, a più riprese, gli evangelisti presentano tra Gesù e i farisei, aiutando a capire che tra questi ultimi vi erano anche alcuni piuttosto aperti nei confronti di Gesù, il quale, dal canto suo, siede alla loro tavola per indirizzare anche la loro ricerca di Dio nella giusta direzione, che per Lui non è quella delle porte larghe delle apparenze “religiose” (che spinge a voler occupare i primi posti per essere notati da tutti!), ma quella del passaggio attraverso la porta stretta delle scelte per il Regno (che esige il farsi piccoli e ultimi per essere dalla parte di quegli “scartati” della storia, ai quali Dio, in Gesù, ha scelto di farsi prossimo).
Luca incastona sapientemente all’interno del banchetto di Gesù a casa di uno dei capi dei farisei il miracolo della guarigione di un idropico (omesso dalla liturgia odierna).
Non è un caso che Gesù pronunzi parole critiche contro chi lotta per i primi posti proprio dopo aver sanato l’idropico: chi è affetto da questa patologia, infatti, è sempre arso di sete e più beve e più ha sete gonfiandosi solo di un’acqua mortifera.
L’uomo malato di idropisia diviene, così, un’icona del fariseo (e dell’atteggiamento “farisaico” dell’uomo religioso di ogni tempo), di chi, cioè, si gonfia continuamente – facendo agire in sé quel lievito dei farisei, dal quale Gesù ha detto di guardarsi (cf. Lc 12,1) – e che, in ragione di ciò, non riesce a passare per la porta stretta (cf. Lc 13,24).
Gesù dichiara dunque di essere venuto a guarire questa idropisia dell’uomo religioso, mostrando l’agire di Dio come diametralmente opposto a quello degli uomini.
Per coloro che vogliono accaparrarsi i posti migliori, quelli più prestigiosi e di maggior potere, Gesù racconta una sorta di parabola sul non scegliere i primi posti: bisogna però stare attenti a non trasformare questa parola in una regola di buona educazione o, peggio ancora, di calcolo di convenienza, per non fare brutte figure e per non subire umiliazioni.
Per Gesù la scelta dell’ultimo posto denota l’assunzione di un atteggiamento che, per chi vuol essere suo discepolo, è essenziale, nella misura in cui è una ri-presentazione dell’atteggiamento stesso di Dio!
La scelta dei primi posti non può appartenere alla Chiesa di Cristo, perché il corpo non può andare altrove da dove il Capo lo conduce! L’ultimo posto è quello che ha preso il Figlio di Dio, da Betlemme al Calvario: a Betlemme non c’era posto per Maria, Giuseppe e il bambino, il quale viene adagiato in una mangiatoia; alla fine il condannato alla croce è condotto in un posto fuori dalla città, chiamato Cranio, perché la sentenza venga eseguita.
Luca mostra i posti (l’uso della medesima parola greca – tópos – appare tutt’altro che casuale) in cui Gesù è nato ed è morto… luoghi geograficamente diversi, ma accomunati da una medesima “qualità”: quella di essere ultimi (a Betlemme tra le bestie, a Gerusalemme tra due malfattori)!
La scelta dell’ultimo posto è allora il modo eminente della sequela, della scelta di stare lì dov’è il Maestro. E come Gesù è stato raggiunto proprio in quell’ultimo posto che è la croce dalla mano del Padre, che lo ha esaltato dandogli un nome che è al di sopra di ogni nome (cf. Fil 2,9), così solo chi è disposto a umiliarsi sarà esaltato. Chi cerca i primi posti è uno che non sa attendere da Dio la parola di chiamata che gli deve assegnare il proprio posto nella storia, nella Chiesa, nella vita: è uno che si assegnada sé un posto; è uno che non è in ascolto della volontà di Dio, chiuso a Lui e alle sue parole… ma è anche uno che non ha in alcun conto gli altri, che li calpesta, li scavalca, li guarda come rivali o come gente di cui bisogna servirsi per ascendere a quei posti così ambiti!
Chi cerca i primi posti non è adatto al Regno, perché capovolge il rapporto con Dio, al quale si deve un ascolto obbediente.
L’invito di Gesù a cercare gli ultimi posti, allora, non scaturisce dal disprezzo di sé, ma dalla sequela di Cristo nella quale si impara sempre più, giorno dopo giorno, ad amare e a dare la vita.
Questo invito risuona ancora oggi per i discepoli del Signore, chiamati a occupare quell’ultimo posto che l’amore impone e che è sempre vicino ai piedi dei poveri, di coloro che non possono o non sanno ricambiare, di coloro che non possono reinvitare o fare doni o favori!
Chi sceglie l’ultimo posto per stare con Lui impara la gratuità, quella che Gesù insegna al fariseo con cui sta a mensa, dicendogli di invitare non amici, fratelli, ricchi vicini, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi. Guai all’amore che attende il ricambio… guai a quell’amore che, in realtà, non ama davvero!
P. Gianpiero Tavolaro
