30 Novembre 2025/ Anno A

Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44

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La prima domenica di Avvento, con la quale si apre un nuovo anno liturgico – e quest’anno ricomincia il ciclo dell’anno A – segna sempre un passaggio importante per la nostra fede, perché viene a smuovere i nostri equilibri e quegli adattamenti che inevitabilmente ci creiamo. Si ricomincia a camminare ma non dolcemente, bensì attraverso una Parola forte che scuote il cuore: «Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Il ricominciare che l’Avvento ci propone ci proietta verso l’eschaton, quel tempo della fine che è l’orizzonte di tutta la vita cristiana e che la determina. Per il cristiano vivere non è come per tutti gli altri uomini, egli sa che si vive nell’attesa di un ritorno, il ritorno del Figlio dell’uomo che è Gesù stesso, un ritorno che è gioia per il giusto ma motivo di angoscia e terrore per il malvagio.

La Parola centrale che oggi la liturgia ci propone è presa dal capitolo 24 dell’Evangelo di Matteo, il cosiddetto capitolo apocalittico: in tutti e tre i sinottici c’è un tale capitolo e il tema principale è quello della venuta del Figlio dell’uomo, espressa attraversa lo stile dell’apocalittica. Apocalittica, diversamente dal pensiero comune, non significa catastrofe, ma nella Bibbia è quel genere letterario che utilizza immagini fortemente simboliche per raccontare qualcosa che sarebbe difficile da dire altrimenti.

L’idea di fondo è quella di dire che la storia si riversa, a un certo punto, in un agire e un intervenire radicale di Dio, che riposiziona ogni cosa nel suo ordine, riporta la verità delle cose, cioè che Dio è il Signore del cielo e della terra. Tutta la confusione che domina la mondanità, quella nella quale sembra prevalere il più forte, l’ingiustizia e il disamore, vengono svelati da questo intervenire di Dio e ogni cosa viene giudicata rispetto alla centralità di Dio, presenza stabile e salda in mezzo al suo popolo, come saldo è il monte del tempio del Signore descritto da Isaia nella prima lettura.

Il nostro brano si trova alla fine di un capitolo più ampio, che sarebbe bene leggere tutto per comprendere meglio su cosa la liturgia vuole in particolare farci soffermare.

Nella prima parte di Mt 24 si parla di tutti i segni che accompagnano la venuta del Figlio dell’uomo, gli sconvolgimenti cosmici che questa comporta e vi è un’espressione dolorosa: “in molti si raffredderà l’agape”. Di fronte ai molti dolori, l’amore, che è la molla della vita e della sequela, sarà messo a dura prova e per alcuni potrebbe venire meno. Non è facile resistere e continuare a credere e ad amare di fronte al dolore, ma – dice il testo – chi persevererà sarà salvato. Sono descritti numerosi cambiamenti cosmici che preparano la venuta di Dio ed è un modo per dire che tutto ciò che si ritiene stabile e sicuro, che è dato per scontato, che sembra non possa cambiare, tutto invece è trasformato, tutto è addirittura rotto perché l’ordine si possa riconfigurare e Dio prenda il suo posto.

Veniamo così ai nostri versetti, essi descrivono, sempre con un linguaggio simbolico, il momento della venuta del Figlio dell’uomo. Questa venuta è raccontata attraverso due similitudini, la prima con un personaggio biblico, Noè, la seconda più generica usa un personaggio strano, il ladro.

Nel primo caso, il richiamo di un’altra figura biblica indica al lettore che tutto ciò che riguarda quel personaggio viene evocato, dunque sarebbe utile andare a rileggere le pagine in cui la Genesi ci racconta di Noè e del diluvio. Il primo richiamo importante, così, che emerge è quello alla malvagità degli uomini e del mondo: è questa che richiede a Dio di intervenire e stravolgere le cose; e la figura di Noè è usata per descrivere ciò che avverrà, una sorta di distruzione che prepara a un mondo nuovo, un tempo che solo il giusto può attraversare indenne. Con Noè, dunque, si vuole dire di una realtà che cambia completamente, di un ordinario stabile dato per scontato che però viene stravolto inaspettatamente e completamente. Mangiare, bere, sposarsi sono le cose più ordinarie che nessuno immagina gli vengano tolte, e invece la stabilità è solo in Dio! Inoltre, il richiamo al diluvio serve a criticare la non vigilanza, il non accorgersi, il non rendersi conto che c’è un altro orizzonte e che quell’orizzonte arriva da un momento all’altro…

“E non si accorsero di nulla finché non venne il diluvio e travolse tutti”

Si noti che il testo richiama il “due a due” ma qui è usato in senso diverso… Mentre nell’arca entrano gli animali a due a due, come segno di fecondità e di vita che continua, qui “due” sono le persone che si trovano in una stessa situazione ma una è presa, l’altra lasciata; apparentemente la condizione delle due persone è la stessa, almeno lo è esteriormente, e invece evidentemente non è così per il cuore, sul quale ogni uomo è chiamato a vigilare. Possiamo pensare al salmo 1, dove si descrive la vita feconda del giusto e la via del malvagio che si perde, come “pula che il vento disperde”.

Dopo l’esempio di Noè, il testo presenta un’altra similitudine, questa volta con un generico ladro. In entrambi i casi avvengono cose che l’uomo non si aspetta, che sono improvvise, che perturbano completamente quello che sembra stabile! Gesù è presentato come un ladro, la sua venuta non solo è improvvisa come quella di un ladro, ma viene a toglierci ciò che pensiamo ci appartenga e sia per sempre e in cui abbiamo posto fiducia e che invece non è veramente nostro.

Alla fine i temi del nostro brano evangelico e di tutto il capitolo 24 sono raccolti in una parabola, quella del servo fidato, che mostra i due possibili posizionamenti di noi uomini: quello di chi attende – con i fatti e non solo a parole – e quello di chi non attende o non attende più, diventando così Signore della propria vita! E noi, come ci posizioniamo tra queste due categorie di uomini?

La prima e la seconda lettura ci aiutano ad aggiungere qualche elemento in più, proprio in merito al nostro posizionamento. Evocando Isaia “la fine dei giorni” e Paolo che “il giorno è vicino”, con immagini diverse ci rimandano allo stesso tema del venire di Dio: ci sottolineano che di fronte a questo è chiesto all’uomo di agire, un agire che sia una vera e propria risposta al venire di Dio: salire al monte del Signore, agire secondo la sua legge, gettare via le armi della luce, non imparare più l’arte della guerra… Sono tutte azioni di uomini che riconoscono il venire di Dio, lo attendono e lo preparano. Allora, il venire di Dio comporta e richiede l’agire dell’uomo, il suo rivestirsi di Cristo. Non è vero che noi agiamo in maniera indipendente, poi mentre Il Signore viene noi sospendiamo tutto ed Egli verrà a giudicarci… Il suo venire, momento deciso dal Padre nella sua assoluta libertà, è in dialogo con l’agire dell’uomo, spinge ogni uomo all’urgenza del rivestirsi di Cristo.

sorella Michela Arnone

Maria Cavazzini Fortini: Vegliate! (acquarello)