Veglia

Gen 1,1-2,2; Gen 22,1-18; Es 14,15-15,1; Is 54,5-14;Is 55,1-11; Bar 3,9-15.32-4,4;

Ez 36,16-28; Rm 6,3-11; Lc 24,1-12

Messa del giorno

At 10, 34a-37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; opp. 1Cor 5, 6b-8; Gv 20, 1-9

Gli evangelisti sono concordi nell’affermare che nessuno è stato testimone oculare dell’evento delle Resurrezione: le donne che all’alba del primo giorno della settimana si sono recate al sepolcro (Maria di Magdala e l’altra Maria per Matteo; Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome per Marco; le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea per Luca; Maria di Magdala per il Quarto vangelo) hanno potuto semplicemente constatare che la tomba è vuota. Gesù è risorto ed è vivente, ma nessuno ne ha ancora fatto l’esperienza personale.

È dentro questo quadro che si inserisce l’episodio che apre il capitolo 20 del Quarto vangelo: esso narra della corsa al sepolcro di Pietro e dell’altro discepolo, quello che Gesù amava, a seguito del racconto della Maddalena… una corsa che non nasce dalla fede, ma dalla curiosità e dalla meraviglia suscitate da parole che hanno dell’inspiegabile: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

I due discepoli corrono alla tomba nel tentativo di vedere e di comprendere, ma in realtà ciò che essi vedono (una tomba vuota e, al suo interno, gli ulteriori segni della morte: i teli e il sudario) diviene per essi un appello a compiere il salto della fede.

Ad attendere i due al sepolcro non è la spiegazione di ciò che è avvenuto, ma un fatto (un altro!) da assumere nella sua cruda ed essenziale realtà: il corpo di Gesù non è più nella tomba! Nessun segno esplicativo di ciò che viene visto è offerto a Pietro e all’altro discepolo, ma davanti ai loro occhi si para una scena che può trovare luce e senso nella “memoria intelligente” delle Scritture, delle quali le parole che Gesù ha consegnato ai suoi, durante gli anni del suo ministero pubblico, sono il pieno e definitivo compimento.

“Memoria intelligente” delle Scritture e, con esse, delle parole del Signore significa non semplicemente un movimento della mente che torna indietro, al passato: essa significa essenzialmente sentire con esse e attraverso di esse… significa essere disposti a farsi illuminare e guidare da esse nell’assunzione (prima che nella comprensione) dell’oggi, nella fiducia certa che niente del tempo presente si sottrae allo sguardo e alla cura da parte di Dio… significa consentire a quelle parole di irrompere nel tempo presente, perché in esso si colga il manifestarsi – sia pure in maniera embrionale (come suggerisce l’immagine del seme più volte richiamata da Gesù nella sua predicazione) – del compiersi delle promesse di Dio e del loro aprirsi a ulteriori compimenti.

Non basta, in altri termini, una memoria “cerebrale” delle parole consegnate da Dio, ma occorre una memoria “integrale”, capace di coinvolgere ogni fibra del proprio essere.

È per questo che – come si preoccupa di annotare l’evangelista –, giunti Pietro e l’altro discepolo dinanzi al sepolcro vuoto (assunta, entrambi, la fatica dell’andare), solo quest’ultimo arriva a credere («vide e credette»), cogliendo nella visione del sepolcro vuoto l’occasione della fede: questo altro discepolo è, infatti, il discepolo che Gesù amava, colui, cioè, la cui relazione con il maestro è stata talmente intima da consentirgli una comprensione altra dei fatti bruti, una comprensione, cioè, non contro la ragione e senza logica alcuna, ma una comprensione nella fede.

La fede ha, infatti, il potere di aprire e dilatare le menti (cf. Lc 24,45), rendendole capaci di cogliere e di accogliere la sorprendente e imponderabile novità del passaggio di Dio nella storia degli uomini.

Non sempre ciò che si vede aiuta a comprendere, ma ogni volta che si vede è possibile arrivare a credere nella fedeltà di un Dio che non abbandonerà la vita del giusto nel sepolcro, né lascerà che il santo veda la corruzione (cf. Sal 16,10).

Per quanto reale, la presenza del Risorto è così: non si impone con evidenze sfolgoranti. Quella del Risorto è, oggi come allora, una presenza discreta e imprevedibile e l’incontro con Lui avviene solo nello spazio dellafede… uno spazio che può essere abitato da chiunque sia disposto a mettere in gioco tutto di sé, dal corpo all’intelligenza, dall’intimo sentire al libero volere.

La Pasqua apre a questa fede e questa fede apre alla Pasqua!

P. Gianpiero Tavolaro

Seguace di Hieronymus Bosch (1450-1516 ca): Discesa agli inferi (Dublino, Galleria Nazionale di Irlanda)