27 Luglio 2025/ Anno C

Gen 18, 20-32; Sal 137; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13

Per quanto la preghiera risulti ancora, nella vita di tanti credenti, o troppo marginale (perché ciò che conta è il “fare”) o, all’opposto, troppo paganeggiante (perché in essa si cerca soprattutto la consolazione di Dio, se non addirittura il suo piegarsi alle proprie richieste), la comunità cristiana è chiamata a trovare nella preghiera uno dei suoi “pilastri” imprescindibili, secondo quanto riportato dagli Atti degli Apostoli (2,42): «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere».

Gesù stesso, d’altro canto, ha pregato, nonostante le urgenze, o, meglio ancora, proprio perché le urgenze premevano.

Tutt’altro che marginale è il pregare di Gesù nell’evangelo di Luca: egli prega durante il battesimo al Giordano, sul monte della trasfigurazione, al momento della scelta dei Dodici, nelle fatiche dell’apostolato, nel Getsemani, sulla croce e, ancora, a Emmaus, quando «prese il pane, recitò la benedizione…».

La preghiera, all’interno dell’attività pubblica di Gesù, non assume mai i tratti della “fuga” dal reale, ma, al contrario, è ciò che “regge” tutto il suo ministero: una sorta di porta aperta sul mondo di Dio, attraverso la quale Gesù si è “nutrito” della relazione con il Padre ed è grazie a questa “apertura”, che egli ha potuto donare agli uomini la capacità di essere pienamente sé stessi, non secondo le logiche del mondo, ma secondo quelle del Regno.

La preghiera appare sempre come una provocazione rispetto alla mondanità: tale dev’essere apparsa ai discepoli anche la preghiera di Gesù, tanto che quelli, vedendolo pregare, gli chiedono che insegni loro a fare lo stesso, evidentemente affascinati dal riverbero che il pregare aveva sul vivere del Maestro.

Alla domanda dei discepoli «Signore, insegnaci a pregare», Gesù risponde insegnando loro il Pater, che, in realtà, non è una preghiera qualsiasi, né tantomeno una formula di preghiera. 

Gesù certo dice: «Quando pregate, dite…»; ma il fatto che il Nuovo Testamento trasmetta due versioni della preghiera insegnata da Gesù testimonia che non è la fedele ripetizione delle medesime parole che conta.

Ciò che conta è, piuttosto, ciò che esse significano, ossia il loro esprimere fiducia, figliolanza, creaturalità, dipendenza.

Non a caso, il Pater è dato da Luca in una forma breve, diversa da quella usuale che è tratta dall’evangelo di Matteo: nella forma sintetica di Luca (che, per molti esegeti, potrebbe essere una forma più vicina all’originale, di cui Matteo avrebbe elaborato una versione con allargamenti e chiarimenti), il Padre è invocato in modo immediato, senza alcuna specificazione: «Padre». 

È come un’esplosione che parte dal profondo del cuore, dal profondo di quella coscienza filiale che Gesù ha avuto e vissuto in modo unico e radicale e che egli stesso ha donato ai suoi discepoli, a coloro, cioè, che mettono fede nella sua fede. 

È dalla fede di Gesù in questo Dio dei padri – che è suo Padre – che sgorga questo grido di fiducia che in Luca non ha bisogno di altro.

Luca sembra così voler dire che, quando si prega, ciò che conta è mettersi dinanzi al Dio che Gesù ha insegnato a (ri)conoscere come Padre, con libertà e amore, con coraggio e umiltà, con sguardo ampio su sé stessi e sul mondo.

La breve parabola che chiude questa sezione sulla preghiera si presenta, così, come un ulteriore invito alla confidenza con Dio, mediante il richiamo all’insistenza nel pregare: è un invito a comportarsi con Dio come ci si comporterebbe con un amico che si sa di poter sempre importunare.

In realtà per Gesù il centro della parabola sta nella certezza filiale dell’esaudimento!

Essenziale nella preghiera, infatti, è sapere che c’è qualcuno che ascolta; è sapere che c’è qualcuno che sia disposto a donare quello che è buono.

È quanto afferma il paragone sorprendente del padre che non dà al figlio né il serpente né lo scorpione: se la preghiera non può attendere un esaudimento che sia quasi un pretendere che Dio obbedisca alle proprie richieste (a volte miopi), quello che è certo è che il Padre non nega lo Spirito a chi glielo chiede.

Nello Spirito sarà possibile sentire davvero con Dio e volgere lo sguardo con Lui verso ciò che davvero è necessario per il Regno.

Per pregare c’è bisogno solo di questa certezza: che il Dio che chiede ascolto è un Dio che sa ascoltare.

P Gianpiero Tavolaro

Albrecht Dürer (1471-1528): Mani in preghiera (1508 ca. Wien, Museo Albertina)