13 Luglio 2025/ Anno C

Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10, 25-37

La vita eterna, ossia la vita in pienezza alla quale l’uomo è chiamato, è una vita nell’amore: a essa può accedere solo chi sa amare l’altro, sia egli Dio o il prossimo.

L’evangelista Luca mette sullo stesso piano l’amore di Dio e del prossimo, facendo di essi un unico comandamento.

Rispondendo alla domanda postagli dal dottore della Legge su chi sia da considerare il “prossimo” da amare (si noti che non è posta alcuna domanda sul “Dio” da amare), Gesù intende mostrare che l’amore di Dio, che egli è venuto a raccontare, non conosce alcun confine di appartenenza etnica o religiosa: non vi è purità o impurità che conti dinanzi all’amore!

La parabola del Buon Samaritano cerca così di stravolgere la visuale del dottore della Legge sulla questione di chi sia il prossimo: la prossimità, infatti, va misurata con il metro dell’amore che si sporca le mani.

La parabola contiene, a tale scopo, un racconto-specchio della vicenda stessa di Gesù: leggere questa parabola in prospettiva cristologica aiuta a liberarla da ogni strettoia moralistica e le restituisce quel carattere rivelativo che può diventare fondamento di una vera prassi evangelica.

Farsi prossimo è, infatti, la scelta del Figlio di Dio: una scelta che è via di ogni scelta di amore.

La possibilità di amare l’altro non dipende da alcuna “affinità”: essa risiede unicamente nella disponibilità a lasciare che l’altro esista dinanzi a sé, accogliendo il suo esistere per come è, sia pure in una condizione di miseria e di abbrutimento.

Il sacerdote e il levita – che si imbattono nell’uomo colpito dai briganti e lasciato a terra mezzo morto – vedono, ma vanno oltre, incapaci di reggere quella condizione di prostrazione: essi ne fanno una questione di impurità.

Gesù polemizza con questa prospettiva religiosa legalistica, dietro la quale l’uomo si nasconde, precludendosi, in realtà, la possibilità di essere davvero uomo, assolvendo alla sua profonda vocazione, quella all’amore.

Il samaritano, invece, vede quell’uomo e ne ha compassione: Luca utilizza qui il verbo splanchnìzomai, usato solitamente dagli evangeli per dire la commozione profonda di Gesù (cf. Mc 6,34; Lc 7,13): è il verbo della commozione della donna-madre dinanzi al dolore del proprio figlio ed esprime un dolore che parte dall’utero, dove quel figlio si è formato.

È lo stesso verbo che traduce, nell’Antica Alleanza, il verbo usato dai profeti per dire che il Signore si commuove per il suo popolo (cf. Os 11,8).

Questo verbo, dunque, tradisce l’identità del Samaritano: adombra Gesù stesso, che si è accostato all’uomo ferito, abbandonato a sé stesso, preda della violenza e della morte.

Gesù sembra dire che vede davvero solo chi lo fa nell’amore, perché solo nell’amore si supera la paura della diversità, della fragilità, della miseria dell’altro e ci si può fare prossimi.

Questa prossimità del Samaritano è ciò su cui Gesù invita il dottore della Legge a fissare la sua attenzione: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?».

La domanda non riguarda colui che deve essere amato, ma colui che deve mettere in pratica il precetto dell’amore; non si parla dell’“oggetto” dell’amore, ma del suo “soggetto”.

Il dottore della Legge credeva di rivolgere a Gesù una domanda sull’altro e si ritrova a dover rispondere a una domanda su di sé di fronte all’altro, sulla propria disponibilità a farsi prossimo.

È questo il vero problema dell’amore.

Ma a essere messa in crisi è anche l’immagine di Dio, su cui il dottore della Legge non ha interrogato Gesù.

Dicendo che a essersi fatto prossimo è «chi ha avuto misericordia di lui», il dottore della Legge sta evocando quanto è proprio di Dio (cf. 1,72): Dio è colui che fa misericordia e questo è più radicale, più essenziale per la comprensione del volto di Dio di qualunque norma rituale fissata nella Legge.

Saprà amare, dunque, chi saprà essere misericordioso come Dio e questo è possibile solo per chi ha fatto esperienza della sua misericordia.

Il problema allora è lasciarsi trovare da quel Samaritano compassionevole, che è Gesù, offrendogli le proprie ferite, i propri fallimenti e le proprie nudità.

È questa l’unica via per imparare a farsi prossimi senza sconti e senza riserve, come Lui e con Lui.

P. Gianpiero Tavolaro

Pieter Lastman (1583-1633): Il buon samaritano (Amsterdam, Collezione Kremer)