VENTISETTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

2 Ottobre 2022/ Anno C

Ab 1,2-3; 3 ,2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10

            Le esigenze dell’Evangelo sono davvero grandi; Gesù ha detto, nelle pagine precedenti dell’Evangelo di Luca, che bisogna, per essere uomini del Regno, smetterla di fidarsi del danaro, delle potenze mondane, del “buon senso” rassicurante; bisogna smetterla di fidarsi di sè! Come fare? Come contraddirsi a tal punto da consegnarsi ad un Altro, ad altre mani?

            Ecco che gli apostoli (si badi che Luca parla di apostoli, i più intimi di Gesù! Luca distingue sempre tra discepoli ed apostoli!) vengono fuori con un grido: «Aumenta la nostra fede!». Hanno capito una cosa essenziale: tutto è questione di fede. Il problema è capire cosa sia questa fede che deve aumentare. In primo luogo è qualcosa che il Signore solo può dare e quindi far crescere…non è qualcosa che ci si dà da sé; non è frutto di sforzi intellettuali, di ragionamenti e di dibattiti…non è neanche un’emozione, a volte effimera e passeggera, direi “sensuale”…la fede non è neanche una serie di dottrine ben organizzate che si accettano per via volontaristica e non è neanche un vago sentimento “religioso” per cui si “sente” di essere dipendenti da Qualcuno (o per altri da “Qualcosa”) di superiore!

            La fedeè dono perché è incontro d’amore tra un Dio che si apre e si rivela e la nostra libertà che si apre e si fa colmare, è incontro con Qualcuno di cui ci si può fidare e a cui affidare tutto quello che si è.

            Nell’Evangelo di Luca quante volte Gesù ha parlato della fede! Di continuo, è come un ritornello: «la tua fede ti ha salvato!». In pratica Gesù dichiara di poter agire solo in presenza della fede. È chiaro che non è la fede dell’uomo che salva, ma è la potenza di Dio! La fede, però, è la “porta” spalancata perché la potenza di Dio irrompa e cambi le vite, le vicende, i cuori.

            Nella prima lettura di questa domenica, abbiamo ascoltato la parola più celebre del Libro del profeta Abacuc: «Il giusto vivrà per la sua fede»; una parola che Paolo citerà come fulcro di tutta la Torah, di tutta l’Alleanza (Rm 1,17).

            Attraverso la fede si giunge alla vita, si giunge ad una vita che si può vivere con tutte le sue potenzialità. Paradossalmente questo può accadere solo se si riconosce la propria “impotenza”! Chi fa questo dice Amen alla potenza di Dio e la lascia agire fino a rendere possibile ciò che a noi era assolutamente impossibile. Ecco perché Gesù fa l’esempio del gelso che è un albero con radici tanto ramificate e profonde che nessuna tempesta riesce a sradicarlo; Gesù dice che una piccola fede può fare due cose l’una più impossibile dell’altra: sradicare il gelso e addirittura trapiantarlo nel mare! L’impossibile è reso possibile solo dal rifiuto di contare su di sé per contare solo su Dio! È semplice ma grande! La fede crea in noi quello spazio, sgombro da noi (e da altri idoli cui diciamo degli stolti Amen) e pronto per l’opera di Dio in noi!

            Capiamo subito che questa è una cosa smisurata: un uomo così è davvero un uomo nuovo e libero da sé, un uomo incamminato per vie di profonda alterità!

            Capiamo subito che questo non è un qualcosa che possiamo costruire da noi: la fede è un dono! Anzi è il vero dono di Dio!

            Un dono che riceviamo quando siamo disposti a spalancare la nostra libertà, che tante volte presume di essere autosufficiente, a quell’altro che trova infinite strade per sedurre il nostro cuore e per rivelarsi a noi come via di verità e di umanità. La fede va solo chiesta; gli apostoli, spesso presentati dagli Evangeli così pasticcioni, tardi e disorientati, qui hanno capito davvero, invece, quale dinamica ha quella fede per la quale Gesù può portare la salvezza agli uomini!

La parabola che segue pare sganciata da tutto questo discorso. Non è così! Non è così perché la parabola, non vuole presentarci l’agire di Dio, un’immagine di Dio, ma vuole dirci come deve essere il nostro atteggiamento verso Dio: senza calcoli, senza “contratti di prestazione” … una relazione allora di vero affidamento; la fede di cui Gesù ha allora parlato è quella del «servo inutile» … quante stupidaggini sono state dette su questo termine “inutile”!… Gesù non vuol dire che noi siamo inutili nel senso che le cose che facciamo non servono o che sono indifferenti alla storia ed alla venuta del Regno! Non è così! I santi sono stati utili, e come!

 “Inutili” (in greco achreĩoi cioè “senza utile”) qui significa semplicemente che “non devono pretendere un utile”! Un servo, dunque, che vive il suo servizio semplicemente per la gioia di servire e di amare, che non sta lì ad accampare pretese e a volere che la sua fede diventi una sorta di “assicurazione” sulla vita, sui beni, sugli affetti, sui progetti, sul quotidiano!

            Un servo inutile è uno che si è affidato totalmente al suo Signore perché dolce è affidarsi, perché non ci sono altre mani cui ci si può consegnare con tanta libertà … un servo inutile è uno che, finalmente ha cessato di dire Amen a se stesso, alla mondanità, agli idoli, per dire Amen solo a Dio!

            Un servo inutile è il credente che si consegna a Dio e che, pian piano, scopre, con meraviglia, che quella consegna rende, nella sua vita, possibile l’impossibile! Scopre che quella consegna già di per sé è da sola una ricompensa grande, la ricompensa è essere nelle mani di Dio che ci ama e tutto rende possibile nelle nostre vite che paiono impotenti! Il gelso può essere sradicato e trapiantato in mare!

P. Fabrizio Cristarella Orestano