TERZA DOMENICA D’AVVENTO

12 Dicembre 2021/ Anno C

Sof 3,14-17; Sal da Is 12 2-6; Fil 4, 4-7; Lc 3,10-18

La domenica della gioia!

            L’Avvento oggi ci conduce a quella speranza che ha, e deve avere, il sapore della gioia!

            Gaudete! “Rallegratevi!” è il comando della liturgia di questa domenica. Rallegrarsi perché il Signore è vicino, rallegrarsi perché la sua presenza è sperimentabile ogni giorno, rallegrarsi perché questa presenza nell’oggi che ci parla, ci nutre, ci consola, ci stringe in fraternità, è certezza del suo ritorno! La sua presenza che traversa la nostra vita sotto i veli giungerà ad una pienezza svelata, rivelata e ci dirà che la storia non è insensata ma ha un senso, cioè ha una direzione che è il futuro di Dio!

            La gioia!

            Senza gioia non siamo testimoni credibili, senza gioia testimoniamo che l’Evangelo è chimera, che l’Evangelo è lontano; senza gioia, diciamolo con chiarezza, mostriamo che l’Evangelo non ha toccato davvero le nostre vite. Quando l’Evangelo ci tocca, subito ci contagia la gioia: è la gioia di chi sperimenta, e dunque sa, che c’è uno più forte delle nostre miserie e debolezze, più forte delle nostre impotenze; è la gioia di sapersi amati e cercati!

            Sofonia, nell’oracolo che abbiamo ascoltato come prima lettura, chiede al popolo di rallegrarsi nel profondo perché il Signore è presente e salva con il suo amore; Sofonia però, dice anche un’altra cosa che mi pare bellissima: la gioia è anche gioia del Signore e la causa di questa gioia di Dio è il popolo credente e salvato! Questa gioia di Dio non deriva da qualcosa che il popolo fa, ma semplicemente dal fatto che quel popolo ci sia e sia il suo popolo ed il luogo in cui può far risplendere il suo amore; un amore che rinnova! Essere amati rinnova, apre al domani: «Ti rinnoverà con il suo amore!».

            Non è già questo motivo grande di gioia?

            Se Sofonia sapeva che questo sarebbe accaduto non sapeva però fino a che punto ed il “come” profondo e radicale che Dio avrebbe scelto per rinnovarci nell’amore! La via straordinaria che Dio scelse, al di là di ogni attesa, fu quella della sua venuta senza più nessun diaframma tra Lui e noi se non quello della carne santissima del Messia!

            Paolo, invece, sa che il motivo della gioia è il Signore Gesù che è venuto, viene e verrà e la cui attesa è fuoco di gioia nel suo cuore! Ai suoi amati cristiani di Filippi Paolo osa dare il “comando” della gioia. Chi ha consegnato a quegli uomini e a quelle donne l’Evangelo ha autorità per “comandare” loro di portare alle estreme conseguenze quell’Evangelo ricevuto ed accolto: essere nella gioia nonostante le tribolazioni che provengono dalla storia!

            È la grande sfida!

            È bello parlare della gioia ma non lo si può fare a cuor leggero e senza tenere presente che sono tanti i motivi per cui la gioia può essere smarrita in un mondo che offre ai credenti tribolazioni, incomprensioni e muri che paiono invalicabili! Ma è lì la sfida! Non si tratta di pensare alla gioia “comune”, quella che gli uomini provano quando tutto va bene e per il verso giusto. Per una gioia simile non c’è molto da dire: è naturale, è quella che tutti hanno nel benessere, nel successo, nella piena realizzazione dei propri progetti…

            Ricordiamo che Paolo quando scrive questo “comando” alla gioia è in carcere! La gioia che lui vive, dunque, non è la gioia “a basso prezzo” e a fiato corto del successo e dello star bene… è un’altra cosa!

            È la gioia che proviene dall’Evangelo, dalla lieta notizia di Gesù che si insinua nel quotidiano anche doloroso e contraddicente e dona a quel buio la luce dell’amore incondizionato di Dio che grida la promessa, la grande promessa del compimento della speranza!

            Questo avviene non perché accadono dei fatti concreti, ma perché viene Qualcuno: Gesù! Finché la nostra gioia non ha il volto di Gesù e del suo Evangelo non è  vera gioia (direbbe Giacomo non è «perfetta letizia»; Gc 1, 2)… è sempre e solo la gioia effimera del mondo; per questo il Gesù del Quarto Evangelo parlerà della “mia gioia” (cf. Gv 15, 11)! La sua gioia è quella gioia diversa, con radici che affondano non nel terreno degli accadimenti ma nel terreno del grande accadimento che è l’avvento di Dio nella storia in Gesù di Nazareth, Figlio eterno di Dio nella nostra carne! È la gioia che proviene dalla certezza del suo ritorno per dare alla storia il compimento in Dio!

            Questa gioia, dunque, non è a basso prezzo perché è una gioia che presuppone un morire alle proprie vie, un vero morire!

            Il Battista, che anche oggi occupa il testo dell’Evangelo di Luca, viene interrogato sul “fare” e propone una sola cosa: spogliarsi delle proprie potenze ed accogliere il Dio Veniente, Colui che immergerà nel fuoco che brucia tutto il superfluo.

            Spogliarsi delle proprie potenze, di quelle che ci si costruisce con le proprie mani: la potenza dell’accumulo («chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia lo stesso») che ci mette al sicuro dietro uno scudo di benessere che ci si è creati… via questa potenza: condividi! Così dice il Battista! Ai pubblicani chiede di non approfittare del loro potere e della loro posizione per accumulare per sé facendosi complici odiosi dei romani che, pur di avere il gettito fiscale che essi assicurano, tollerano con piacere le loro sopraffazioni con cui si arricchivano illecitamente… via questo potere iniquo!

            Ai soldati Giovanni chiede di non vessare e non razziare. Pensiamoci: ma che soldato è uno che non vessa, che non usa violenza, che non maltratta? Giovanni chiede a questi violenti “per vocazione” di rinunciare alla propria violenza rinunziando, quindi, alla loro potenza.

            Mi pare palese che Giovanni il Battista non proponga qui una morale minimalistica ma propone, invece, una spoliazione dalle potenze che ciascuno si costruisce abilmente; propone una spoliazione che porti ogni uomo a ritrovarsi “impotente” davanti a Colui che è più forte, al Messia che viene con il fuoco e che libererà definitivamente dalle potenze di morte.

            Giovanni proclama con fermezza di non essere il Cristo ma di essere servo di quella immersione in acqua che spoglia dalle proprie potenze mettendo ciascuno dinanzi alla propria verità di fragilità e di peccato; solo un uomo così, «convinto di peccato» (Gv 16,8) potrà ricevere l’Evangelo, accoglierlo e farsi così riempire di gioia vera. Solo un uomo così può essere uomo dell’Avvento, vigilante nell’attesa del Messia che ritorna, in attesa del “più forte” dinanzi al quale devono cadere le nostre misere potenze!

            Questa domenica davvero ha il colore dell’aurora (ecco il rosaceo dei paramenti liturgici!) perché Cristo non si vede ancora ma tinge l’orizzonte di grande speranza; Egli viene e non tarderà! Intanto occorre spogliarsi delle proprie potenze, delle proprie gioie… così Lui ci rivestirà della potenza del suo amore e di quella gioia che nessuno potrà toccarci.

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Marko Rupnik: Il Battista