QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

4 Febbraio 2024/ Anno B

Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

Gli evangeli sono molto attenti nel registrare la grande attenzione riservata da Gesù ai malati: a più riprese Gesù viene presentato nell’atto di incontrare dei sofferenti, ai quali è restituita anzitutto la salute fisica, come segno di una cura che si ribella al potere distruttivo della malattia, ristabilendo l’uomo nella piena integrità della sua dimensione corporea. Eppure, Gesù non intende presentarsi come un taumaturgo, un guaritore o un esorcista di successo: se egli compie gesti di liberazione dal male e da ogni altra forma di alienazione – cos’è, in fin dei conti, la possessione, se non un essere alienati da sé e consegnati al male che “possiede”? –, lo fa per mostrare che la sua parola è “efficace”, come lo è la Parola di Dio che scende dal cielo e non ritorna a Lui senza aver operato ciò per cui è stata inviata (cf. Is 55,10-11): in Gesù, come ricorda il suo stesso nome (che significa “Dio salva”!), è inaugurato un tempo nuovo, nel quale ha avuto inizio la vittoria su tutto ciò che avvilisce e nullifica l’uomo, su quella caducità che sembra costituire il limite invalicabile dell’uomo e di cui è paradigmatica la vicenda di Giobbe.

E così, la giornata-tipo di Gesù che Marco descrive nel suo evangelo, al capitolo primo, è presentata secondo un sapiente intreccio di storia e di simbolo: l’alternanza dei luoghi in cui Gesù opera – la sinagoga, la casa, all’aperto dinanzi a tutti gli abitanti della città, l’altrove verso cui egli si dirige – sembra voler significare esattamente che la sua azione di salvezza è capace di penetrare in tutti gli ambiti della nostra vita, dal luogo del culto a quello dell’intimità, fino alla vita con le sue più ampie relazioni.

In tutti questi luoghi si annida ciò che toglie all’uomo l’umanità.

Gesù cura donando dignità: egli è un uomo che rende uomini quanti, a causa del male (in qualunque forma questo si presenti), hanno smarrito il senso della propria umanità.

Marco sembra sottolineare che, prima ancora di ricevere una esplicita richiesta di liberazione, è Dio che si accosta all’uomo che si è avvolto nei lacci della morte e lo prende per mano per farlo alzare: è questo, per esempio, il gesto che Gesù compie per la suocera di Pietro («e la fece alzare prendendola per mano»).

Tuttavia, i mali esteriori da cui Gesù guarisce l’uomo sono anche un segno dei suoi mali profondi: ecco perché l’attività di guarigione non è mai sganciata dall’annuncio dell’evangelo, che solo permette all’uomo di trovare la sua vera identità (quella pensata da Dio per lui) nella piena libertà: «per questo, infatti, sono venuto!».

L’annunzio dell’evangelo e della sua potenza di liberazione prende forza dalla preghiera prolungata che Gesù vive, all’alba, nel dialogo con Colui che l’ha inviato e di cui annunzia il vangelo, senza lasciarsi schiacciare dalle “urgenze” (vere o presunte).

Gesù desidera incontrare l’uomo, ma sa che per incontrarlo come fratello occorre incontrare anzitutto il Padre e ciò è quanto Egli fa nella preghiera solitaria e silenziosa.

Gesù ha tempo per il Padre: senza lasciarsi fuorviare dai bisogni che premono, Egli viene sedotto invece dal desiderio più profondo del suo cuore e del cuore del Padre.

Gesù non si è lasciato ingannare dalle “urgenze”,come sembra capitare sempre più nello spazio ecclesiale: Egli si è lasciato afferrare dal necessario e questo non resta mai chiuso nello spazio “sacro” della sinagoga (o, per i cristiani, della chiesa, intesa come edificio del culto), ma si configura proprio in un altrove, che è lo spazio dell’intimità con il Padre, ma anche di un annuncio senza frontiere.

L’altrove di Gesù non è una via di fuga dal quotidiano: l’altrove di Gesù è, invece, un altrove che cerca la storia, che cerca gli uomini concreti, li prende per mano, ne ascolta le storie e li conduce alla vita ed al servizio… un altrove ancora troppo diverso da quello dei suoi discepoli!

P. Gianpiero Tavolaro

Gesù guarisce la suocera di Pietro
(Mosaico, Cattedrale di Monreale, XII-XIII secolo)