QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

24 Dicembre 2023/ Anno B

2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

Il Dio di cui parla la Scrittura è un Dio che si rivela nella storia: storia e rivelazione costituiscono un binomio inscindibile, al punto che la salvezza di cui Israele e la comunità cristiana sono testimoni è una salvezza non dalla storia, ma nella e della storia.

A essere salvata, dunque, non è solo una parte dell’uomo (magari l’anima, in quanto la sua parte “più nobile”), ma tutto l’uomo, insieme a tutto ciò che di bene, di bello e di vero fa parte della sua vicenda personale e comunitaria.

Cogliere la portata della salvezza possibile per l’uomo e per la sua storia significa, però, rinunciare a guardare solo all’interno dei confini della storia, intesa come una serie di fatti controllabili, in quanto prodotti (o, comunque, producibili) da parte dell’uomo. Se la rivelazione avviene nella storia, questa diviene, a partire da questo avvento, un “luogo aperto”, così che le risposte alle grandi domande che essa solleva non possono più essere cercate solo in se stessa: la fede che nasce dall’ascolto della Parola (cf. Rm 10,17) apre gli orizzonti della storia a un “ulteriore” che viene da Dio e che, pertanto, non è deducibile dalla storia, ma avviene nella storia, irrompendo in essa.

L’avvento di Dio è esattamente in questo orizzonte e non in quello del prevedibile, del programmabile o del controllabile. Al termine del tempo di Avvento, il cristiano viene messo di fronte all’istanza di deporre la fede in sé e nelle sue opere, per accogliere, con umile disponibilità, vie e logiche che sono “altro” e “oltre”, dando spazio a Dio… anzi, divenendo egli stesso spazio aperto a Dio, con tutto ciò che è.

è questo quanto suggerisce la scena dell’Annunciazione: essa si presenta come un quadro di gratuitànella misura in cui in Maria non c’è alcun merito («hai trovato grazia presso Dio») –, ma anche di piena disponibilità a farsi spazio per Dio – nella misura in cui Maria è pronta rinunciare ai propri progetti, per accogliere quelli di Dio, dei quali riconosce la priorità e la grandezza («avvenga per me secondo la tua parola»).

è proprio dalla disponibilità a Dio, infatti, che dipende la possibilità di sperimentare la gratuità del Suo intervento: se la gratuità non esige altro che l’atto d’amore di chi si dona, l’efficacia del dono dipende dalla ricettività del destinatario.

E così, il “sì” di Maria permette a Dio di realizzare il suo progetto e di compiere le sue promesse. Se Dio è presente in tutta la sua realtà nell’ora dell’annuncio a Maria (il Padre riempiendola di grazia e interpellandola, il Figlio lasciandosi accogliere e chiamare per nome da lei, lo Spirito scendendo su di lei per fare del suo corpo di vergine un corpo di madre), Maria non rinuncia comunque alla sua “parte”, ponendo domande, cercando risposte, pronunciando il suo “sì”.

La disarmante e ordinaria umanità di Maria, entro la quale risuona un “sì” che è atto di massimo abbandono e di assoluto affidamento a Dio e alle sue promesse, costituisce il canale mediante il quale il Verbo di Dio può irrompere nella storia degli uomini, assumendo la loro carne e non sostituendosi a essa: l’incarnazione altro non è che una “visita”… la visita discreta di un Dio che cerca instancabilmente la sua creatura, perché in essa possa giungere a compimento quel desiderio di pienezza che la sofferenza, il peccato e la morte di continuo contraddicono.

È questa la ragione ultima dell’Incarnazione, che si celebra nel Natale: il desiderio di Dio si incontra con il desiderio dell’uomo e vi risponde “dal di dentro”, facendo dell’umano il luogo della massima manifestazione del divino, senza confusione, senza mutazione, senza divisione, senza separazione.

Se in Gesù, Dio si mostra disposto a compiere il suo tratto di strada pur di incontrare l’uomo – tanto da superare perfino l’infinita distanza “qualitativa” che separa il Creatore dalla sua creatura –, in Maria è l’umanità stessa che, nella piccolezza e nel limite della propria condizione, si riconosce capace di rispondere all’appello del suo Dio… accogliendo Dio in sé.

L’avvento di Dio non schiaccia l’uomo e non rende la sua storia uno strumento inerte: esso richiama l’uomo alla sua responsabilità sulla storia (quella personale e quella del mondo), senza farne un idolatra di sé e delle proprie scelte.

L’avvento di Dio non vuole, infatti, le presunte autosufficienze dell’uomo, ma chiede all’uomo di essere pienamente e totalmente se stesso.

L’avvento di Dio chiede che l’uomo sappia prendere nelle mani la propria libertà per consegnarla liberamente a Lui, in modo da divenire egli stesso terreno e spazio di una presenza che lo renda stabile dimora di pace e misericordia.

P. Gianpiero Tavolaro

Beate Heinen: Annunciazione (1987)