QUARTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

29 Gennaio 2023/ Anno A

Sof 2, 3;3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12

Se è vero che, con la sua predicazione e la sua attività, mai Gesù ha inteso abolire la Legge antica, preoccupato piuttosto di mostrare che in Lui quella Legge (insieme con tutta l’attesa dell’antico Israele) trovava ormai il suo pieno compimento, massima espressione di questa continuità e di questa pienezza sono le beatitudini, con cui si apre, nell’evangelo di Matteo, il cosiddetto Discorso della montagna.

Che le beatitudini vadano lette nel senso del compimento della Legge risulta dal fatto che esse, in realtà, parlano di Gesù: è Lui che incarna l’uomo nuovo capace di assumere la storia senza fuggirla, senza farsi scudo degli altri, senza pretendere esenzioni, senza girare le spalle al dolore, ma senza nemmeno rinunciare al desiderio bruciante di un oltre. Gesù è esattamente questo “oltre”: è la terra promessa dell’umanità, il Regno che sta annunziando dall’inizio del racconto di Matteo.

Ciò che Gesù afferma con le beatitudini, dunque, è quello che vive, ma anche quello che comunica a ogni carne. In altre parole, Gesù non solo ha detto la via (cf. Gv 14,6: «Io sono la via»), ma, con la sua umanità, ha immesso nell’umano la capacità di percorrere quella via.

Lui, il povero, l’afflitto, il mite, l’assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, il pacificatore, il perseguitato per la giustizia, rende capacidi vivere concretamente la sua vita, di camminare verso il Regno da poveri, da afflitti, da assetati di giustizia, da misericordiosi, da puri di cuore, da pacificatori, da perseguitati per la giustizia. E così le beatitudini, per coloro che sceglieranno di assumerle come “forma” della propria vita, saranno la via per conformarsi a Lui.

Sul monte Gesù non dà una nuova legge, ma dice cosa è possibile ormai a chi lo segue e accoglie la nuova umanità che Egli è. Intesa come possibilità di vita, la beatitudine è un cammino entusiasmante, che consente di trovare il senso autentico della vita, all’interno di un mondo che dice, con violenza e forza di persuasione, l’opposto!

Proprio per sottolineare questa dimensione di cammino, André Chouraqui, nella sua versione della Bibbia in lingua francese, traduce il “beati” evangelico con en marche, cioè “in cammino”, privilegiando il seguire la via di Cristo, rispetto alla gioia profonda dell’essere con Lui in questo peregrinare. Chouraqui intende così suggerire che la beatitudine evangelica è una condizione non statica, ma profondamente dinamica. È come, d’altra parte, potrebbe non esserlo, dal momento che essa è tanto lontana dalle logiche dal mondo, da esigere da parte dei discepoli del Signore una consapevole resistenza al grido del mondo che la considera stoltezza (cf. 1Cor 1,18), ma anche, da parte del mondo, una lotta per respingere, magari persino annacquandolo, ciò che appare illusione e debolezza?

 È solo assumendo questo cammino che tutto può cambiare e che una nuova umanità può sbocciare. Non a caso, dopo i tre capitoli del Discorso della montagna che si apre con le beatitudini, Matteo fa seguire, nei capitoli ottavo e nono, dieci miracoli, dei quali uno è un esorcismo: quei prodigi non sono messi lì casualmente, ma mostrano il potere che la Parola pronunciata da Cristo ha su coloro che la incontrano con cuore aperto: essa purifica il lebbroso (8,1-4), risponde alla fede del centurione (8,5-13), rende la suocera di Pietro capace di servire (8,14-15), libera dal male gli indemoniati di Gadara (8,23-34), libera dall’immobilismo del peccato il paralitico (9,1-8), libera dall’impurità l’emorroissa perché il Cristo se ne fa carico (9,20-22), ridona la vita alla figlia di Giairo (9, 18-19.23-26), illumina i due ciechi (9, 27-31), dona al muto la capacità di parlare (9,32-34).

Le beatitudini allora non sono una legge morale, sono un evangelo; sono, cioè, la buona notizia per l’umanità, perché Gesù in esse si narra e narra agli uomini cosa ha fatto di loro: li ha fatti capaci di essere come Lui, stando “con” e “dietro di Lui”.

P. Gianpiero Tavolaro