NATALE DEL SIGNORE

Anno A/ 25 Dicembre 2019

Notte: Is 9, 1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14   
Aurora: Is 62, 11-12; Sal 96; Tt 3, 4-7; Lc 2, 15-20  
 Giorno: Is 52, 7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1, 1-18 

È notorio che le feste cristiane sono svilite o travisate sia dal mondo che ormai le usa per i suoi fini biecamente commerciali e sia – il che è più doloroso e scandaloso – dagli stessi che si dicono cristiani, discepoli del Signore Gesù.

  Particolarmente, a volte, il Natale diventa – mi pare – una sorta di teatro in cui si simula una nascita di Gesù come se essa avvenisse ora … e si sentono dire frasi di questo tipo: “Stanotte nasce Gesù!”, oppure “Attendiamo che Gesù nasca!” o ancora “Gesù sta per nascere, venite ad adorarlo!” … sono, in fondo, espressioni infantili che non aiutano nessuna fede adulta, espressioni che acconsentono ad una regressione di tipo “devoto”; questo per un motivo semplicissimo: Gesù è nato una volta per sempre a Betlemme di Giudea da Maria di Nazareth e dunque non dobbiamo attendere la sua nascita! Questo atteggiamento infantile (non evangelicamente infantile, ma stupidamente infantile!) depaupera la vera fede e la vera speranza cristiana. Il Martirologio romano al 25 di dicembre parla di “commemoratio” di un evento di salvezza avvenuto nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4) e che noi celebriamo; “celebrare” significa dare accesso al mistero al nostro oggi concreto ed esistenziale.

E allora a Natale cosa fa la Comunità cristiana?

Possiamo rispondere con tre verbi: ricorda (commemora), attende-spera, celebra. Questi tre verbi richiamano la grande tradizione della Chiesa trasmessaci dai Padri d’oriente e d’occidente, la tradizione delle tre nascite-venute del Signore. La tradizione cistercense ne farà oggetto di una riflessione sempre più chiara da Bernardo di Clairvaux fino ad Isacco della Stella.

La meditazione sulla prima nascita è facile: è quella di cui è pieno questo giorno santissimo; è la meditazione sull’Incarnazione che gli evangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca ci hanno consegnato, un evento di salvezza umile che avviene nel nascondimento; il Figlio di Dio nasce nella campagna di Betlemme perché i suoi non hanno trovato alloggio, una nascita nella storia sottolineata dalla citazione di Cesare Augusto e di tutti quelli che reggevano il mondo in quel momento … il Figlio di Dio nasce e nessuno se ne accorge se non i poveri … I nostri presepi servono a ricordarci questo evento storico, un evento che è la base per la riflessione sulle ulteriori nascite-venute del Signore.

In primo luogo la sua venuta nella gloria alla fine della storia: è la Parusia, termine greco che significa “presenza” intendendo così la presenza finale del Signore al termine della storia. Se la prima venuta è accaduta nel nascondimento, questa sarà gloriosa, avrà, cioè peso (ricordiamo che la parola ebraica “kavod” che traduciamo con “gloria” significa “peso”), avrà visibilità, inoppugnabilità e l’avrà per ogni carne! Nessuno si potrà sottrarre alla venuta gloriosa del Figlio di Dio. Verrà con il suo corpo risorto e glorioso per incontrare tutte le genti, gli uomini di ogni epoca e di ogni luogo (cfr Mt 25,32), verrà da vincitore della morte e del male, verrà perché il Regno incominci in pienezza! Attendere questa venuta, esercitarsi ad attenderla è il vero motivo dell’Avvento che abbiamo vissuto anche quest’anno. Un tema questo della vigilante attesa del Signore che è tanto centrale e decisivo per la fede cristiana quanto assente e dalla predicazione e dal concreto sentire dei credenti.

Se non lo attendiamo più è perché – diciamocelo! – non lo amiamo abbastanza e non lo amiamo con l’ardore che dovrebbe bruciarci il cuore, se non lo attendiamo è vana la proclamazione della sua Risurrezione; se non lo attendiamo che significato ha il nostro concreto seguirlo quotidiano ed il nostro voler dimorare in Lui? Se non lo attendiamo è perché le Chiese si sono, in genere, ben assestate nel quadro della mondanità e delle umanissime sicurezze … solo nei tempi di pressura e persecuzione si risente la febbre dell’attesa del Veniente, in genere, invece, si dorme, non si attende più nulla tanto che già Paolo deve esortare i cristiani di Roma a svegliarsi dal sonno perché “la nostra salvezza –scrive – è più vicina ora di quando diventammo credenti” (Rm 13,11). Non si attende più il Veniente! Non si prega più quel “maranathà!” che è, in verità, la più antica preghiera cristiana! Se Lui dice “Vengo presto!” la Sposa-Chiesa non sa più rispondere dicendogli “Vieni!”, non scolta più lo Spirito che le dice di invocare per affrettare il suo ritorno (cfr Ap 22,17.20). Il grande scrittore Ignazio Silone (1900-1978), un grande cristiano, passato per giungere alla fede in Cristo e nel suo Evangelo, attraverso un grande travaglio umano a tanti livelli, testimoniato nei suoi bellissimi romanzi e scritti, non fece mai il passo di entrare nella Chiesa … a chi gliene chiedeva il perché rispondeva: Perché mai? Per far parte di quelli che dicono di aspettare il Signore Gesù e poi lo aspettano con lo stesso entusiasmo con cui si aspetta un tram? Non ne vale la pena!

  È comodo commemorare con tenerezza e poesia (che non fanno male, per la carità!) la nascita a Betlemme, è più scomodante invocare il suo ritorno. E questo perché se siamo nell’attesa di questa venuta finale bisogna accogliere ancora una nascita del Figlio di Dio: quella in noi! Questo può e deve avvenire in ogni giorno qui, oggi … Se è vero che la nostra vocazione è essere tempio di Dio (e questo personalmente e comunitariamente!) è vero che il nostro profondo deve essere luogo di accoglienza di Lui, del suo Evangelo, delle sue scelte, luogo da cui si deve esiliare ogni mediocrità umana per accogliere la piena umanità che Gesù è venuto ad insegnarci.

San Bernardo nei suoi Discorsi sull’Avvento (V,1) diceva che se la prima venuta “venne nella carne” (1Gv 4,7) e nell’ultima “verrà nella gloria” (Lc 9, 26), in quella intermedia viene “in Spirito e potenza” (Lc 1,17) nei cuori dei credenti che gli danno accesso.

            Se della prima nascita si fa memoria, se per l’ultima bisogna attendere e sperare, quella intermedia è l‘oggetto della celebrazione, perché celebrare significa dare accesso al quotidiano. Bernardo scrive: “Nella prima nascita Cristo fu nostra redenzione (cfr 1Cor 1,30), nell’ultima si manifesterà come nostra vita (cfr Col 3,4), i quella quotidiana sarà nostro riposo e nostra consolazione!

            Questo è il vero Natale!

            Questa venuta-nascita intermedia è quella da realizzare nella storia; dicevano tanti teologi e mistici da Agostino ad Angelo Sileno, pur con diverse parole: Nascesse mille volte Gesù a Betlemme se non nascesse in te, tutto è inutile.

            Il presepe napoletano mi pare una rappresentazione potente di questa venuta intermedia. Leggiamolo! Perché mai il presepe napoletano pullula di immagini, di persone, di situazioni, di quotidiano? Perché mai mescola i personaggi del racconto evangelico (Santa Famiglia, angeli, pastori, Magi) con tanti altri? Anche con palesi anacronismi? È solo folklore o solo ingenuità? No! Il presepe napoletano vuole rappresentare proprio questa nascita intermedia: Betlemme è Napoli, perché è lì, nella città degli uomini, nel quotidiano, che deve nascere Cristo … nel presepe napoletano è mostrata questa venuta intermedia! La scena vera e propria della Natività (che in gergo presepiale viene chiamata proprio “Il Mistero”!) racconta la prima venuta, tutto il resto quella intermedi; trait d’union tra le due venute, sul presepe napoletano, è il pastore della meraviglia: è dallo stupore per la prima venuta nella nostra carne umana che nasce il fuoco del cuore che permette la nascita di Cristo nel cuore di ogni discepolo! Nel presepe napoletano – voglio azzardare – c’è anche il richiamo, mi pare alla “nascita finale” del Signore nella Parusia. Dove? Nel pastore che dorme … a lui, simbolo innocente di indifferenza, di inconsapevolezza e di non attesa, pare si possano rivolgere le parole dell’Apostolo: “È ormai tempo di svegliarvi dal sonno perché la sua venuta è più vicina ora di quando diventammo credenti (Rm 13,11). Inoltre farlo nascere nei nostri oggi significa far crollare in noi ogni idolatria lottando con essa, ogni idolatria, infatti, allontana dalla verità nuda dell’Evangelo: per questo nel presepe napoletano Gesù nasce in un tempio pagano diroccato! Dunque nessuno spazio agi idoli lì dove nasce per la fede il Figlio di Dio ancora in una carne umana: la nostra!

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Monastero di Ruviano: Particolare del presepe.