DOMENICA DELLE PALME

24 Marzo 2024/ Anno B

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc14,1-15,47

La Domenica delle Palme ci fa entrare nel mistero della Settimana Santa, invitandoci a compiere idealmente un “ingresso”, come quello compiuto da Gesù… un ingresso che ci mette di fronte a quel mistero d’amore che è il vero contenuto del racconto della Passione.

Al di là degli eventi narrati e al di là del modo di narrarli – in modo parzialmente diverso nei quattro evangeli –, la Passione resta, all’interno della Bibbia, il più grande racconto dell’amore di Dio per noi… racconto di un amore che si fa “consegnare”, come segno estremo dell’abbandonarsi all’altro e per l’altro.

Se, infatti, l’essere consegnato di Gesù (sul quale insiste particolarmente Marco) suggerisce una vera e propria “cosificazione”, è pur vero che questa cosificazione non è mai passivamente subita, ma è sempre consapevolmente scelta e accolta. È questo quanto gli evangeli sono concordi nel comunicare.

Anche se i racconti degli evangeli non sono perfettamente sovrapponibili nella descrizione della Passione, essi presentano alcuni elementi in comune, che meritano una particolare attenzione da parte del lettore/ascoltatore. Tra questi elementi è possibile individuare una comune macrostruttura, secondo la quale la “Passione” propriamente detta (che include il Getsemani, assente nel quarto Evangelo, che inserisce altrove i medesimi temi, e il processo, fino alla morte), viene preceduta immediatamente dal racconto della cena, che nei sinottici offre l’istituzione dell’Eucarestia, mentre nel quarto evangelo narra della lavanda dei piedi (che, in realtà, non fa che interpretare il significato profondo dell’Eucarestia, cui il Quarto Evangelo si riferisce al cap. 6).

Questa “introduzione” ai fatti bruti della passione ha certamente un valore storico, perché ci racconta come sono andati i fatti secondo un ordine cronologico; ma ha anche un valore teologico, perché l’istituzione dell’Eucarestia è un segno di alleanza, che rappresenta il compimento “rituale” della Pasqua ebraica: nell’ultima cena Gesù anticipa nel segno del pane e del vino il mistero dell’alleanza che di lì a poco egli avrebbe portato a pieno compimento mediante il suo sacrifico, che, come ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei, egli avrebbe realizzato una volta per sempre.

La Passione, dunque, va letta a partire da ciò che avviene nel cenacolo: questo, infatti, è il luogo dell’intimità e, vorrei dire, dell’interiorità… luogo attraverso il quale i discepoli di ogni tempo sono messi a contatto con ciò che abita il cuore di Gesù… e così il cenacolo diventa il luogo nel quale Gesù, che sin dall’inizio dell’evangelo ha cercato di vivere la sua identità di Figlio obbediente al Padre, assume questa identità portandola fino all’estremo, come ricorderà Giovanni all’inizio del capitolo 13: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino all’estremo» (13,1).

Il cenacolo diviene così il luogo nel quale Gesù è già giunto all’estremo: l’estremo non è stato, per Gesù, morire sulla croce… l’estremo è stato per lui arrivare al punto di non trattenere per sé più nulla… di non custodire più nulla, ma di donare di sé tutto… di quel dono estremo, la croce è stato solo il modo storico, ma contingente, non necessario… se ci pensiamo, nei sinottici, quando Gesù nell’ultima cena istituisce l’Eucaristia e offre ai suoi il pane che è il suo corpo e il vino che è il suo sangue, egli non è stato ancora crocifisso e non ha ancora versato il suo sangue: eppure non siamo qui semplicemente di fronte a un segno profetico!

Se Gesù può consegnare ai suoi il suo corpo e il suo sangue prima della croce, ciò è possibile perché nel cenacolo egli ha ormai deciso di dare la vita per loro: «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Il cenacolo, dunque, ci mette di fronte alla disponibilità a dare la vita prima che la vita sia strappata: e questo dice che, quando a Gesù la vita sarà presa, egli non resisterà non per viltà o per resa passiva, ma per aver scelto di amare fino all’estremo.

Questo aiuta dunque a comprendere come Gesù resti “signore” degli ultimi fatti della sua vita: egli li domina, non li subisce non semplicemente perché è Dio, ma perché, come uomo, egli ha vissuto la fatica di scegliere l’orientamento da dare alla sua vita ed è rimasto fedele a tale orientamento.

Se anche Gesù fosse morto altrimenti, dunque, non per questo ci avrebbe amati di meno, perché nel suo cuore, nell’intimità delle sue relazioni, egli aveva già consegnato il suo corpo e il sangue, vale a dire il suo vivere e il suo morire… questo ci aiuta a non “sacralizzare” il dolore e la morte, che restano contraddizioni insostenibili per l’uomo, ma che in Gesù non sono più ostacoli, ma possibili vie per vivere l’amore. Gesù “resta”, “rimane” nell’amore anche se viene passato di mano in mano con odio… perché resta nella relazione con il Padre: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36) … e questo suo stare si contrappone all’instabilità dei discepoli. All’inizio del vangelo, viene detto che abbandonato tutto, seguirono Gesù (cf. Mc 1,18.20); ora viene detto che abbandonato Gesù, fuggirono tutti (Mc 14,50). Essi sono instabili, perché nel loro cuore non hanno realmente scelto… e non hanno compreso l’amore fino all’estremo di Gesù: essi scappano, perché non reggono quell’amore.

La loro paura è la paura dell’amore… dell’essere amati e dell’amare… incapaci di ricevere l’amore, incapace, dunque, di essere figli, essi non riescono neppure a essere fratelli e si disperdono…. Lasciano colui che li richiama alla radice dell’amore… all’amore del Padre!

La loro paura è la nostra paura… di noi che riceviamo ogni giorno il pane e il vino, il suo corpo e il suo sangue… ma non abbiamo sempre il coraggio di andare al di là del segno per leggere in essi un amore che chiede amore… una vita che chiede la nostra vita… ma se i nostri occhi non saranno disposti a vedere, nella fede, non potremo fare Pasqua con Lui!

P. Gianpiero Tavolaro

Ingresso a Gerusalemme (Codex Rossanensis, ca 550, fol. 11, Rossano, Museo diocesano)