7 Settembre 2025/ Anno C

Sap 9, 13-18; Sal 89; Fm 9b-10.12-17; Lc 14, 25-33

La sequela di Gesù non è riservata a pochi eletti, ma è la possibilità di vita nuova cui è chiamato chiunque abbia incontrato Gesù, facendo esperienza di Lui come Signore e Salvatore.

Se “tutti” coloro che hanno incontrato Cristo nella fede sono invitati a seguirLo, per stare con Lui e vivere per Lui e in Lui, non tutti riescono ad assumere pienamente questa novità di vita che esige, da parte di ciascuno, la disponibilità a “dare tutto”, mettendo in gioco la propria vita, senza riserve e senza sconti. 

«Una folla immensa andava con Lui», annota l’evangelo: tanti, cioè, sono coloro che vanno dietro a Gesù, ma a tutti costoro Gesù parla, ponendo delle condizioni ben precise all’andare con Lui.

È come se Gesù, vedendo tanta gente, voglia scoraggiare – mediante la durezza di una parola che lascia un margine molto ristretto a interpretazioni edulcorate della sua proposta – una sequela facile, dettata magari da un entusiasmo solo emozionale e temporaneo: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».

Rispetto al testo parallelo di Matteo, Luca presenta un elenco più dettagliato dei vincoli di parentela, cui aggiunge il riferimento a «la propria vita»!

E ancora, rispetto a Matteo (il quale dice «chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me»), Luca usa il paradossale verbo odiare: in linea con l’antica sapienza di Israele, Gesù non intende invitare al disprezzo, ma a scegliere liberamente un distacco per amore di Dio che chiama.

La forma “violenta” del verbo odiare vuole sottolineare, allora, la serietà della scelta di una sequela, che non tollera mezze misure né legami che imprigionano o che tengono rivolti verso il passato. Insomma, il vero problema non concerne anzitutto la specificità della propria vocazione, quanto piuttosto la disponibilità a dare a Gesù, al suo vangelo e al Regno da Lui inaugurato il vero primato: non un primato dichiarato a parole o con belle intenzioni, ma un primato dichiarato con il portare la croce, che non è l’assunzione delle piccole o grandi sventure, dei piccoli o grandi imprevisti, dei piccoli o grandi dolori o limiti della vita, ma è la libera e amorevole accettazione della morte del proprio uomo vecchio! Solo chi è disposto a questo può essere suo discepolo, chiunque egli sia!

Le due parabole, che Gesù narra immediatamente dopo (quella dell’uomo che vuole costruire la torree quella del re che deve andare in battaglia) vogliono mettere in guardia da una sequela poco seria: chi voglia intraprendere la sequela di Gesù deve calcolare le proprie forze per scegliere davvero quella sequela, pena l’incapacità (l’impossibilità!) di portare a termine il cammino iniziato. Gesù non vuole sequele a metà: meglio una non-sequela, che una sequela mediocre e fatta di compromessi e di sconti… Non ci sono sconti per l’evangelo!

Quello di Gesù, però, non è solo un invito a prendere sul serio Dio e il suo Regno, ma è invito a prendere sul serio anche sé stessi.

In questo sta il suo grande rispetto per l’uomo: l’uomo ha una sola vita e non la si può ammantare di bieca mediocrità. La vita dell’uomo o è un capolavoro di umanità (conformemente a quell’immagine che Dio ha impresso in lui al momento della creazione) o non è vita umana! 

Se la via del Regno non è percepita così; se la via proposta da Cristo viene percepita come “mortificante” per l’uomo o, all’opposto, “addomesticabile” secondo le proprie personali esigenze, sarebbe meglio non avventurarsi in essa… sarebbe meglio non iniziare il “santo viaggio”.

In tal senso, non esistono cristiani radicali e cristiani meno radicali: esistono solo(almeno così suggerisce l’evangelo!)i cristiani, il quali o sono radicali o non sono cristiani!

È Gesù stesso che pone coloro che lo seguono di fronte a questa alternativa: a ciascuno, dunque, la valutazione della propria disponibilità a “perdere” per Lui!

P. Gianpiero Tavolaro