9 Novembre 2025/ Anno C

2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20, 27-38

La morte costituisce per l’uomo – anche per l’uomo religioso – il grande limite di fronte al quale ogni umana presunzione è destinata a infrangersi.

 Al capitolo 20 dell’Evangelo di Luca, Gesù viene sfidato proprio sul terreno della morte, interrogato da alcuni sadducei: si tratta di uomini di una classe ricca, aristocratica, fatta prevalentemente da sacerdoti del Tempio, che credono più all’oggi del loro potere politico ed economico che a un futuro affidato ad altre mani, siano pure quelle di Dio.

Costoro non perdono occasione per mettere in ridicolo quella che ai loro occhi appare un’assurda credenza: quella nella risurrezione dei morti.

A sostegno della loro posizione, allo scopo di mettere in ridicolo i propri avversari, essi presentano a Gesù un “caso”, un esempio grottesco: una donna, che viene presa in moglie da sette fratelli.

I sadducei si richiamano qui a una parola della Torah (la cosiddetta legge del levirato: cf. Dt 25,5ss), in base alla quale, qualora un uomo sposato sia morto senza figli, il fratello o il parente più prossimo deve sposare la vedova di modo che il loro figlio primogenito sia considerato legittimamente figlio del defunto.

Si trattava di una legge tesa a garantire a ogni Israelita una discendenza, anche a chi ne moriva privo e questo sia per motivi di ordine religioso (in modo da partecipare alla benedizione di fecondità data ad Abramo), sia per motivi di ordine patrimoniale (legati alla conservazione dell’eredità).

Posto il caso, ecco allora la consequenziale e ovvia domanda: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie?».

Gesù risponde mostrando, con un procedimento tipicamente rabbinico, l’errore dei suoi interlocutori. 

Anzitutto, egli dichiara ai suoi avversari che il loro parlare è banale e risibile, in quanto espressione di un modo di concepire la risurrezione come prolungamento ed estensione del presente della storia: la condizione nella quale l’uomo è chiamato a vivere nell’eternità dall’amore fedele di Dio non è materiale, quasi “immagine e somiglianza” della storia, ma è una dimensione oltre la storia, in cui non ci sarà più bisogno del matrimonio per vivere l’amore nella pienezza delle dimensioni umane (corporea e spirituale) e per garantire la  vita.

La pienezza dell’amore non richiederà l’“esclusività” della relazione coniugale, poiché ci si amerà tutti in e mediante Dio.

La vita, poi, sarà custodita non dalla generazione biologica, ma dall’amore di Dio e sarà una vita che non passerà più: la morte esige il generare, ma oltre la morte non occorrerà più generare.

Gesù non intende svalutare il matrimonio, ma invita a comprenderne il senso all’interno della storia, lì dove esso assume il suo posto e il valore reali.

Il matrimonio è profezia dell’amore e della vita, partecipazione della reciprocità e della fecondità dell’amore di Dio: nell’eterno, però, non si avrà più bisogno di profezia, perché ciò che nell’oggi storico viene annunciato, sarà posseduto.

Poi Gesù trae dalla Scrittura un argomento che funge da prova: nella scena del Libro dell’Esodo, il Signore, dal roveto ardente, parla a Mosè e si definisce come «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6).

Per Gesù lì è la forza della certezza della risurrezione: Dio non si sarebbe mai presentato mediante il riferimento a uomini precipitati per sempre nella morte. Se così fosse, sarebbe un Dio dei morti e non dei viventi.

La Scrittura invece narra di un Dio creatore della vita, amante e custode della vita degli uomini e del cosmo: il Dio, fedele all’alleanza che ha stretto con quegli uomini, è il Dio di una fedeltà che non può essere vinta neanche dalla morte.

Il Dio dell’Alleanza fa dell’uomo una creatura capace di conoscerlo, di amarlo, di costruire la sua esistenza attorno a Lui e in vista Lui.

Se l’uomo è così legato a Dio, se l’uomo appartiene così a Dio, questa creatura non può cessare di esistere: essa non può non partecipare alla pienezza di vita che Dio ha e che Dio è. La certezza della risurrezione è, così, fondata da Gesù sul legame d’amore con cui Dio lega a sé l’uomo: un legame di cui la risurrezione di Gesù è l’espressione più eloquente e la conferma definitiva.

Nella Risurrezione di Gesù il Padre dice che dalla morte salva solo l’amore: l’amore che Egli ha per l’uomo.

La fede dei discepoli di Gesù si fonda allora sull’amore stesso di Dio, che apre l’uomo alla speranza e alla possibilità di un amore come il suo: un amore che non finisce!

P. Gianpiero Tavolaro

Jorge Cocco Santangelo (1936): Gesù che predica