21 Dicembre 2025/ Anno A

Is 7,10-14; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

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Con questa domenica ci avviciniamo ormai al Natale, a quel momento che, alla fine dell’Avvento, verrà a sostenere la nostra speranza: se il Signore è venuto una volta, come aveva promesso, allora verrà di nuovo alla fine della storia, per portare a compimento tutte le cose. È per questo che la liturgia oggi ci fa meditare su quelle condizioni che hanno permesso al Signore di venire nella persona di Gesù Cristo. Prima di contemplare la sua nascita, allora, dobbiamo contemplare quell’incontro fecondo tra la volontà di Dio e l’obbedienza dell’uomo che ha permesso a Gesù di nascere, iniziando l’opera di salvezza che era stata promessa. Non è semplice riascoltare testi così noti lasciandosi davvero scomodare e provocare dalla novità che contengono; eppure, questi testi ogni volta dovrebbero lasciarci incantati nella contemplazione dell’opera di Dio. Matteo, dopo aver raccontato la genealogia di Gesù, all’inizio del capitolo 1, per mostrare come Egli entri nella storia del popolo di Israele a cui era stato promesso da Dio un salvatore, ci racconta più nello specifico di questa “generazione” di Gesù. In un testo asciutto e molto concreto ci racconta qualcosa di drammatico e straordinario allo stesso tempo: l’agire di Dio ha incontrato il sì di un uomo e una donna che ha permesso all’opera di Dio di realizzarsi; e tutto questo non è avvenuto all’improvviso, ma dentro a una storia preparata da lontano, nei solchi dell’alleanza tra Israele e quel Dio che ora viene a compiere la sua promessa di dare un salvatore dalla stirpe di Davide.

Si può notare che rispetto al racconto di Luca dell’annuncio a Maria (Lc 1,26-37), nel racconto di Matteo la centralità è data alla figura di Giuseppe: questo è dovuto al fatto che l’obiettivo di Matteo è sottolineare che in Giuseppe Gesù è discendente di Davide, dunque entra nella linea delle promesse al popolo d’Israele. La scena, raccontata con sobrietà, nei contenuti in realtà esprime un grande dramma: Maria è promessa a Giuseppe ma non vive ancora con lui, dunque è vergine eppure si trova incinta. Legalmente Maria è già come se fosse sposa, dunque se avesse tradito Giuseppe sarebbe un’adultera e rischierebbe di morire. Giuseppe viene a sapere di questa gravidanza e non sa cosa fare, deve ripudiare Maria secondo la legge, ma pensa di farlo in segreto. Questo è strano e sarebbe stato difficile perché certi passaggi per essere riconosciuti devono essere fatti pubblicamente. Certamente Giuseppe pensa di essere stato tradito, mentre il lettore è già consapevole dal racconto che quel figlio è stato generato in Maria dallo Spirito. Così Dio interviene, l’angelo del Signore che va in sogno a Giuseppe non è altro che la presenza di Dio, la sua voce, che spiega a Giuseppe che non deve temere di prendere con sé Maria. Dalle parole dell’angelo Giuseppe può comprendere che egli stesso fa parte del progetto di Dio, non è un accidente. Anche egli è chiamato a dire il suo sì e così a dare la possibilità a quel bambino di entrare nella stirpe di Davide in modo del tutto particolare. Giuseppe, ridestatosi dal sonno, fa esattamente ciò che l’angelo ha suggerito.

L’obiettivo centrale del brano, allora, è quello di consegnare al lettore, così come è stato consegnato a Maria e Giuseppe, che è stato lo Spirito a operare la generazione di questo bambino. Viene detto due volte, la prima dalla voce narrante e la seconda dall’angelo del Signore nel sogno a Giuseppe. Entrambe queste voci sono autorevoli e il lettore sa che può fidarsi di ciascuna di esse.

L’altro aspetto centrale del brano è rappresentato da qualcosa a cui Matteo ci ha già abituati in queste settimane, il riferimento a testi dell’Antico Testamento. Qui viene citato Isaia, il famoso passo del capitolo 7 che parla di una vergine che concepirà un figlio. Se nel contesto originale di Isaia l’attesa di un figlio è quella di un figlio biologico, questo non impedisce a Matteo di utilizzare il testo profetico; l’intento, probabilmente, non è quello di confermare la nascita verginale di Gesù (quella la sottolinea già il brano in vari modi) ma di dire che quel figlio è promesso da Dio come un segno: è il Signore stesso che suggerisce al re Acaz di chiedere un segno e poi promette la nascita di un bambino che si chiamerà Emmanuele, cioè “Dio con noi”. Sembra contraddittorio che nel racconto il nome che Giuseppe deve dare non è lo stesso del testo di Isaia. E allora che prova è? Non sembra una testimonianza concorde… Tanto più che il testo poi ci dirà che Giuseppe lo chiamerà Gesù, così come aveva ordinato l’angelo del Signore. Evidentemente, allora, dobbiamo leggere oltre… Forse dobbiamo ricomporre un puzzle, mettendo insieme il senso del testo di Isaia con quello che sta avvenendo a Maria e Giuseppe come cosa assolutamente nuova. Colui che nascerà da Maria, allora, che è generato dallo Spirito, dunque viene da Dio e non dall’uomo, è promesso da Dio come segno, come ci dice Isaia, come presenza di Dio; “Dio con noi” vuol dire che non solo viene da Dio ma manifesta Dio in mezzo agli uomini, è Dio stesso in mezzo agli uomini. Gli elementi si devono sommare, dunque, così che si manifesti e comprenda quella pienezza, quel compimento di cui parla Matteo. Quel bambino ha già una vocazione chiara nel nome, quella di salvare il popolo dai suoi peccati: il nome Gesù viene dalla radice ebraica del verbo “salvare”. E tutto questo sarà possibile non perché Egli sia un qualunque salvatore ma perché è Dio, è già ora Emmanuele.

In questo racconto ci colpisce l’agire di Maria e di Giuseppe: entrambi fanno uno spazio. Maria è ancora vergine, dunque il rispetto della legge di Dio consente uno spazio di attesa, di vuoto, che è quello nel quale Dio può agire! Questo forse ci fa riflettere su quanto oggi la nostra umanità non sia disposta a creare spazi di attesa – in qualunque campo e non solo in quello sessuale ovviamente –; l’attesa è quello spazio che contempla la presenza di Dio e il suo agire. Nessuna altra donna concepirà il Cristo per opera dello Spirito e nessun altro uomo diverrà padre di Gesù come Giuseppe, eppure se crediamo che lo stesso Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo, agisce ancora oggi conducendo l’uomo e la storia verso quel compimento, verso quella “fine dei giorni” che ci è stata annunciata e che attendiamo, allora dovremmo anche credere che lo Spirito può operare ancora oggi cose meravigliose e creative, cose che rompono l’ordinario e fanno irrompere lo straordinario di Dio, cose che necessitano di attraversare dolori e fatiche, ma che costruiscono il Regno.

Dove si troveranno oggi un uomo e una donna, simbolo dell’umanità completa, che lascino spazi vuoti, spazi di attesa, spazi di rispetto di sé e dell’altro, spazi di giustizia, spazi di accoglienza di “regole” che possono sembrare dure e non assecondano il proprio godimento immediato? Dove si troveranno uomini e donne così, attraverso i quali Dio può agire, nel suo modo straordinario, per far “venire” il suo regno? Stare di fronte a questo racconto straordinario di Matteo e gioire dell’agire di Dio nel passato, non basta! Questo racconto raggiunge il suo obiettivo se ci interpella chiedendoci come anche noi oggi possiamo essere Maria e Giuseppe, cioè come possiamo stare in relazione con Dio – e con quelli che il Signore ci ha messo accanto nella vocazione – al fine di lasciar generare in noi il Cristo, di donarlo al mondo, di custodirlo, di lasciarlo diventare “Signore”, Dominus, nelle nostre vite. Se questo racconto non ci interpella così, se non crediamo che anche oggi lo Spirito può compiere in noi cose meravigliose, che avvicinano il suo Regno, allora il Vangelo di oggi sarà per noi una bella favoletta, come tante che ci hanno raccontato da bambini e che hanno consolato il nostro cuore, ma non ci hanno cambiato né salvato.

Non solo Maria, anche Giuseppe è uomo che fa spazio. Giuseppe subito crede a quel sogno, subito si fida di Dio e non si arrende a ciò che umanamente sarebbe più semplice e immediato credere: la sua promessa sposa è incinta, non di lui, dunque di un altro, dunque è stata infedele. Dare credito a Dio e a un sogno attraverso cui Egli si rivela richiede un grande coraggio. E quante volte noi altri fermiamo i progetti di Dio perché ci atteniamo alla lettura più mondana delle situazioni e non ci fidiamo delle fragili rivelazioni di Dio, non gli diamo credito? La vicenda di Gesù è stata possibile perché Dio lo ha voluto ma l’umanità, nell’uomo e donna che sono Maria e Giuseppe, in modo assolutamente personale e poi dopo come coppia, hanno dato credito a Dio. E quante cose che Dio ha pensato e predisposto per continuare l’opera di salvezza di Gesù nei confronti del popolo non avvengono perché io non dico il mio sì? E allora penso di attendere il Regno che viene, ma di fatto lo fermo rispetto a quell’unica cosa che spetterebbe a me fare…

Sorella Michela Arnone

Mike Moyens: Il sogno di Giuseppe di Nazareth (2019)