25 Dicembre 2025/ Anno A

https://www.chiesacattolica.it/liturgia-del-giorno/?data-liturgia=20251225

Messa della notte: Is 9,1-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14

Messa dell’aurora: Is 62,11-12; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20

Messa del giorno: Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

«Dio, che aveva parlato nei tempi antichi molte volte, in questi ultimi giorni ci ha parlato per mezzo del Figlio». Così la lettera agli Ebrei, che si legge nella Messa del giorno, ci introduce nel mistero di questo giorno santo, apertosi già nella notte: tante volte Dio è già intervenuto, ha già parlato, ha già esortato il suo popolo amato a prendersi la vita piena che Egli dona. A un certo punto della storia, però, questa Parola di Dio si fa più forte, più chiara, si fa determinante! Tanto determinante che si fa carne! Quella Parola che in principio era presso Dio e che è Dio, ora diventa carne, diventa materia e viene a vivere in mezzo agli uomini nell’uomo Gesù, nel bambino che generato dallo Spirito Santo, nasce dal grembo verginale di Maria. Che la rivelazione di Dio sarebbe stata sempre più forte e decisiva Israele poteva aspettarselo; ma che prendesse la carne di uomo, questo no, nessuno poteva aspettarselo. Oggi noi Chiesa nel 2025 siamo qui a celebrare ancora questo mistero, che ci viene incontro in maniera rinnovata: quel Dio lontano, che desideriamo ma che tante volte è scomodo rispetto al fluire della nostra vita “normale”, oggi si fa vicino e viene a prendere carne per noi, vuole prendere carne nella nostra carne. Siamo cristiani da 2025 anni… Eppure non abbiamo ancora imparato che umano e divino non si oppongono ma si incontrano; non abbiamo ancora imparato che nulla della nostra concretezza è estraneo alla storia con Dio, ma che Egli tutto vuole incontrare per poter redimere tutto: bellezze, desideri, fragilità, malattia, bisogni, ferite, dolori, capacità, abilità, tutto Egli vorrebbe incontrare. E noi ancora lì presi a dividere cose di Dio e cose della terra, cose religiose e cose quotidiane nelle quali noi certamente pensiamo di capirne più di Dio su come funzionano e su come vada il mondo. Quanto siamo stolti quando pensiamo così; quanto poco ci siamo lasciati incontrare dal mistero dell’incarnazione di Dio.

Oggi però, giorno di Grazia, si apre di nuovo una porta, una possibilità: quel mistero ancora irrompe nella storia e vuole convertirla; quel mistero ancora vuole incontrare noi, la nostra carne e mostrarci che solo in Gesù c’è salvezza, solo in Lui il compimento di ogni pienezza, per noi, per quelli che amiamo, per la storia tutta. L’avvento ci ha ridestato nel nostro sonno, ci ha ridetto che la storia corre verso il suo compimento e verso la venuta del Regno di Dio, l’avvento ci ha ridetto che in questa venuta noi abbiamo un ruolo. Oggi, tornare sul mistero dell’incarnazione di Dio, ci dice cosa succede quando Dio viene, quando compie le sue promesse e allo stesso tempo le supera.

Oggi questo mistero ci fa da specchio: dove ci collocheremmo in questo racconto, onestamente? Per la portata dell’evento che sta avvenendo, ci stupisce la semplicità e l’iniziale silenzio in cui avviene; Maria e Giuseppe vanno a Betlemme per il censimento, Giuseppe infatti è della casa di Davide, e si adagiano in una stalla perché non ci sono posti per loro in albergo. Il viaggio sarà stato lungo, faticoso, lento per una donna alle soglie del parto; e proprio lì, in quella stalla, nel silenzio, ella dà alla luce il suo figlio primogenito, quel bambino a cui Giuseppe darà il nome di Gesù, come l’angelo gli aveva detto. È notte, ma è nella notte quando tutto si ferma che Dio compie le sue opere di salvezza: all’uomo deve essere chiaro – se questi vuole vederlo – che è Dio che sta operando! Nessuno accorre a questo momento unico della storia, se non degli umilissimi pastori a cui un angelo rivela quello che sta avvenendo. I pastori sono avvolti da una grande luce, quella luce che rifulse di cui Isaia aveva predetto e annunciato! Questa volta la rivelazione non è attraverso un sogno e il destinatario non è Giuseppe, ma è sempre la voce di un angelo del Signore che consegna chiaramente ai pastori – dunque al lettore – una verità complessa e straordinaria: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Il manifestarsi di Dio può incutere timore, eppure sempre il suo venire è accompagnato dall’espressione potente: «non temere/non temete»; la Scrittura ne è piena! Un invito accorato a lasciare gli indugi per farsi afferrare dall’amore di Dio e dalla bellezza che Egli crea per salvare l’uomo e donare la vita piena! Questo bambino è un segno, così come è un segno il modo in cui nasce: non per i potenti, ma per il popolo umile che attende la salvezza; non nasce in un palazzo, tra gli ori e lo sfarzo, ma nasce nella fragilità e precarietà di un luogo che non sembra “da Dio”.

Così, i pastori accorrono e le parole che gli angeli gli hanno detto dovranno raccontarle a Maria e Giuseppe. Nessuno è destinatario unico e solo delle rivelazioni di Dio, neanche Maria e Giuseppe; Dio si svela sempre “in comunione”, a più uomini, a più contesti, perché ciascuno sia disposto sempre a essere testimone e ricettore della testimonianza allo stesso tempo, ciascuno sia disposto a “custodire nel cuore” come Maria i tanti pezzi di un puzzle che è solo nelle mani di Dio. Anche i protagonisti di questa storia sono chiamati a ricevere una testimonianza, mentre tengono tra le loro braccia “il figlio di Dio”, donato per la salvezza di tutto il popolo. E allora è proprio così, è nato un Re, dalla casa di Davide, ma un re che governerà il suo popolo altrimenti, un re fragile, che donerà la vita facendosi pane, facendosi mangiare. Quella mangiatoria, così come Betlemme che significa “casa del pane”, ci dice già di prepararci a un re diverso, un re che sarà Signore assumendo tutta la piccolezza della vita degli uomini.

Quanto siamo stolti, allora, quando, stando nelle stalle delle nostre vite, nelle quali tante volte ci troviamo, materialmente e spiritualmente, quanto siamo stolti quando pensiamo che lì Dio non c’è! Invece, è proprio lì che Egli oggi ci dice di venire e da lì, da quelle stalle, da quelle mangiatoie, potrà crescere e divenire Signore di chi vorrà accoglierlo e credere alla sua regalità più che a quella del mondo:

A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

In questo modo Giovanni, nel suo prologo che racconta la stessa incarnazione, porta verso di noi il mistero che oggi vuole incontrarci: in Cristo, anche noi siamo chiamati a essere generati a vita nuova, come Lui non attraverso il sangue o il volere di uomini, come quando siamo nati alla vita, ma per volontà di Dio. Anche noi chiamati a diventare figli, veramente, anche noi salvati in Lui e partecipi della sua missione di salvezza verso tutti gli uomini.

Sorella Michela Arnone

Filippo Lippi (1406-1469): Natività (affresco, abside del Duomo di Spoleto, 1467-69)