28 Settembre 2025/ Anno C

Am 6, 1a.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16, 19-31
Come la parabola dell’amministratore infedele, anche la parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro è parte della sezione dedicata dall’evangelo di Luca all’uso delle ricchezze e al valore dei beni.
Si tratta di parabole complementari: se, infatti, il racconto dell’amministratore infedele è un invito a considerare l’uso retto delle ricchezze, la parabola del ricco e del povero Lazzaro invita a riflettere sui pericoli delle ricchezze, e, in particolare, sul rischio che esse rendano chi le possiede “ciechi”, incapaci cioè di vedere altro che la propria condizione e, dunque, incapaci di vedere la miseria degli altri.
Questa seconda parabola è, in tal senso, una straordinaria narrazione di una situazione che ogni giorno ferisce l’umanità.
Eppure, proprio al misero Dio rivolge il suo sguardo e di lui non si dimentica: non a caso, questa è l’unica parabola evangelica in cui uno dei protagonisti ha un nome, Lazzaro (Eleàzar), che significa “Dio aiuta”.
Questo nome rivela la cura di Dio per il povero, ma anche il cuore del povero (del vero povero), che è colui che si fida di Dio e del suo aiuto, percependosi nelle sue mani.
L’altro del racconto, invece, proprio come l’uomo che più avanti lo interrogherà sulla vita eterna (cf. 18,18-24), non ha nome, dal momento che si fa definire da ciò che possiede: è un uomo ricco.
Costui non compie azioni malvagie verso Lazzaro, ma si mostra distante, indifferente, incapace di vedere, assumere e curare le piaghe del povero, perché preoccupato solo di sé e dei suoi beni.
Tuttavia, la vita dell’uomo giunge a una fine e, così, finisce la vita dissoluta e distratta del ricco, ma finisce anche il dolore di Lazzaro. Viene la morte e questa, per l’Evangelo, non “livella”.
I due, infatti, restano in una situazione di disparità, ma capovolta: Lazzaro è portato dagli angeli nel seno di Abramo, il ricco è sepolto e sta nell’inferno (la differenza dei due verbi è importante e mostra già il capovolgimento delle situazioni).
Il racconto, però, non intende spostare l’attenzione del lettore/ascoltatore sulla condizione che l’uomo vive nell’aldilà: esso vuole invece parlare del giudizio di Dio su ciò che l’uomo è nell’aldiquà, mostrando che la misericordia di Dio non sarà sganciata dal suo fare giustizia!
Nella sua nuova situazione di bisogno (la sete) il ricco finalmente vede Lazzaro accanto ad Abramo: non lo aveva mai visto; i suoi occhi non si erano fermati sulle sue piaghe e sul suo bisogno (la fame).
Ora lo vede, ma a partire dal proprio bisogno e subito, ancora, mette questo bisogno davanti all’altro: Lazzaro dovrebbe andare da lui a spegnergli l’ardore della sete; vuole che Lazzaro sia ancora al suo servizio!
In vita l’ha ignorato, non si è accorto di lui e del suo dolore e ora lo vorrebbe suo servo: servo della sua sete.
In vita non gli era importato nulla della sua fame e ora pensa di servirsi di lui.
Abramo, loro padre comune, che ora è il suo interlocutore, nega questa possibilità.
Ma il no di Abramo non ha il sapore di una vendetta, dell’occhio per occhio, dente per dente. Abramo spiega che ora si è stabilita un’impossibilità: vi è un abisso tra il ricco e il seno di Abramo, ove Lazzaro è consolato.
L’abisso non è stato voluto da Dio, ma l’ha creato l’indifferenza, figlia di quella ricchezza colpevole nella quale l’uomo si è abbandonato e dalla quale si è lasciato accecare.
L’abisso, una volta che questa vita è giunta al suo termine, non è più valicabile.
È solo a questo punto che l’uomo ricco raccoglie l’orrore che ha seminato, preoccupandosi della sorte dei suoi fratelli (anch’essi ricchi), che rischiano di percorrere la medesima via mortifera.
Per loro egli chiede un segno, un miracolo, ma Abramo chiarisce che non servono miracoli, perché basta la Scrittura.
È nella Scrittura che i figli di Abramo (dei quali il ricco è parte!) possono trovare la via, ma ciò esige che alla Scrittura si tenda l’orecchio, prestando a essa ascolto e obbedienza. Nessun risorto da morte (e qui la parabola acquista una straordinaria attualità anche per la comunità cristiana) converte il cuore, se non si ascolta la Scrittura!
L’ascolto della Scrittura rende possibile la fede nel Risorto e non il contrario: e così, nell’ultimo capitolo del suo evangelo, lo stesso Luca narra dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono il Risorto solo dopo averlo ascoltato spiegare le Scritture.
Senza l’ascolto vero quel viandante rimarrebbe solo un compagno di viaggio capace di molte chiacchiere; senza l’ascolto delle Scritture è sempre possibile restare nella propria cecità e non riconoscere nell’altro che si fa accanto la presenza del Signore.
P. Gianpiero Tavolaro
