21 Settembre 2025/ Anno C

Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
Il capitolo sedicesimo dell’evangelo di Luca rivela la particolare attenzione che l’evangelista presta ai temi della povertà e della ricchezza, sui quali più volte egli ritorna, anche negli Atti degli Apostoli.
Luca stesso offre al lettore/ascoltatore la chiave di lettura di questa pagina (e, dunque, anche della pericope odierna dell’evangelo) ai versetti 14-15: «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato davanti a Dio è cosa abominevole”».
Gesù si rivolge ai farisei definendoli philárghiuroi, cioè “amanti del denaro”: è questo il temine che la tradizione orientale utilizzerà per definire quello che in Occidente è il vizio capitale dell’avarizia, la philarghiuría, un vizio che è la perversione del rapporto con le cose e dunque, in primo luogo, con ciò che permette l’acquisizione di molte cose: il denaro.
A essere preso di mira non è tanto il mondo, con il suo attaccamento al denaro, quanto piuttosto l’attaccamento mondano alle ricchezze da cui sono affetti anche gli uomini religiosi, al punto che anche tra costoro vi sono alcuni che si fanno beffa di chiunque voglia impostare un discorso evangelico circa l’uso del denaro e della ricchezza.
L’attaccamento al denaro, tuttavia, è problematico non solo perché esso rivela la sostituzione del fine con un mezzo, ma anche perché agli occhi di Gesù la ricchezza è sempre disonesta, nella misura in cui l’accumulo corrisponde alla povertà di qualcuno: più si accumula e più si “crea” povertà!
Per questo, alla fine della parabola dell’“amministratore infedele”, Gesù dichiara: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta».
Gli amici che bisogna crearsi sono i poveri: ci si mette al riparo dalla disonestà della ricchezza solo riequilibrando la giustizia mediante la condivisione!
Per l’evangelo (e particolarmente per Luca) la condivisione costituisce la legge assoluta che regola il rapporto con le cose e con l’avere: essa è la via sapiente per camminare sulle strade del Regno.
L’amministratore infedele è lodato dal padrone – che pure è stato truffato da lui – non per la sua infedeltà, ma perché è riconosciuto scaltro (cosa che gli stessi “figli della luce” sembrano non essere).
Gesù vuole porre all’attenzione dei suoi ascoltatori il fatto che quest’uomo – definito peraltro “amministratore dell’ingiustizia” – è stato capace di giocarsi tutto per uno scopo preciso: quello di mettersi in salvo.
Perché, si chiede (e chiede ai suoi discepoli) Gesù, i figli delle tenebre sono capaci di tanta intelligenza, prontezza, previdenza, mentre i discepoli del Regno non usano queste stesse doti per costruire nella propria vita quello che davvero conta?
Perché gli ingiusti inventano mille mezzi per giungere ai loro scopi, mentre i discepoli dell’evangelo sono spesso così tiepidi e senza passione per il Regno?
Per Gesù bisogna cogliere da questo uomo iniquo una lezione: la capacità di fare una scelta per la vita, una scelta accorta.
Chiaramente l’amministratore ingiusto e il discepolo appartengono a due logiche diverse: a quella del mondo e a quella del Regno.
Quello che, però, Gesù indica al discepolo è la risolutezza e la capacità di perseguire uno scopo perché vitale, usando i beni del mondo (di per sé “neutri”) come mezzi, in modo da renderli non forieri di morte e di ingiustizia, ma fecondi di vita.
La scaltrezza dell’amministratore della parabola è quella di chi è riuscito – sia pure per un interesse personale e sotto la spinta della necessità (ma non è questo quanto ha spinto anche il figlio minore della parabola del “Padre misericordioso” a tronare a casa?) – a volgere lo sguardo e il cuore a un’altra amicizia, a un altro amore: questo uomo diviene, così, icona di chi riesce a farsi amici.
L’alternativa alla quale l’evangelo chiama è l’amicizia con Dio, che accoglie nelle dimore eterne. L’aut-aut qui è radicale, come sempre nell’evangelo: «Nessun servitore può servire due padroni…Non potete servire Dio e la ricchezza».
P. Gianpiero Tavolaro
